martedì 15 gennaio 2013

SHARBAT-LA RAGAZZA AFGHANA

Forse Laila di Mille splendidi soli era così?



La luce era morbida. Il campo profughi in Pakistan era un mare di tende. All' interno della tenda scuola fu la prima bambina ad essere notata. Percependo la sua timidezza, il fotoreporter Steve McCurry si avvicinò a lei, e solo all'ultimo momento le chiese se poteva scattare la foto. McCurry ricorda ancora la sua espressione. Quell'uomo era uno sconosciuto, e lei non era mai stata fotografata prima. E non lo sarà fino al successivo incontro, 17 anni dopo. Sharbat Gula non è stata più fotografata. Chi non ricorda i suoi disarmanti occhi verdi, spalancati, in quell'espressione mista tra paura, mistero, rabbia e voglia di riscatto?
"Non pensavo che la fotografia della ragazza sarebbe stata diversa da qualsiasi altra cosa che ho scattato quel giorno", dice McCurry, ricordando quella mattina del 1984, passata a documentare il calvario dei profughi dell'Afghanistan. Il ritratto di McCurry si rivelò essere una di quelle immagini che colpiscono al cuore, e nel giugno del 1985, fu stampata sulla copertina della rivista National Geographic. Quegli occhi sono di colore verde mare. In essi è possibile leggere la tragedia di una terra prosciugata dalla guerra, e sono divenuti noti in tutto il mondo grazie alla National Geographic come gli occhi della "ragazza afghana". Per 17 anni nessuno ha conosciuto il suo nome.
Nel mese di gennaio del 2002 il team della National Geographic e McCurry tornarono in Pakistan per cercare la ragazza dagli occhi verdi. Mostrarono l'immagine intorno a Nasir Bagh, il campo profughi ancora in piedi vicino a Peshawar, dove la fotografia era stata fatta. 

Quando la vide entrare nella stanza, pensò tra sé e sé: "E' lei". Il suo nome è Sharbat Gula, ed è pashtun, una tra le più note tribù guerriere afghane.
37-38 anni oggi.  "Ha avuto una vita difficile", ha detto McCurry. Consideriamo la situazione: ventitré anni di guerra, 1,5 milioni di morti, 3,5 milioni di rifugiati. Questa è la storia dell'Afghanistan dell'ultimo quarto di secolo o forse più, e nonostante adesso siamo nel 2009 non sembra che le cose siano cambiate. Dall’età di 13 anni Sharbat iniziò a vivere l'esistenza appartata seguita da molte donne islamiche fino alla fine della pubertà.
Ecco il resoconto nudo della sua giornata tipo. Si alza prima dell'alba e prega. Va a prendere l'acqua dal ruscello. cucina, pulisce, fa il bucato. Si prende cura dei suoi figli, sono al centro della sua vita. Robina ha 13 anni, Zahida ne ha 3, Alia è l'unico maschio. Una quarta figlia morì in tenera età. Sharbat non ha mai conosciuto un giorno felice, dice suo fratello, tranne forse il giorno del suo matrimonio. Suo marito, Rahmat Gul, è di costituzione leggera, con un sorriso come il bagliore di una lanterna al tramonto. Ricorda di essere sposato con lei da quando aveva 16 anni, con un unione combinata.
"Le donne spariscono in pubblico", dice lei. Per strada si indossa un burka color prugna, che mura le donne dall'esterno, dagli occhi di uomini diversi dai mariti. "E' una cosa bella da indossare, non una maledizione".
Infine, di fronte alle domande, si ritirò nello scialle nero avvolto intorno al viso, come se così facendo avesse potuto sparire lei stessa. 
Non era sua abitudine sottoporsi alle domande degli stranieri.
Vi riportiamo uno stralcio dell'intervista che fu accordata dalla donna alla National Geographic quel giorno del 2002.
D:"Avevi mai visto la fotografia di te stessa da ragazza?"
R:"No."
D:"Puoi scrivere il tuo nome, ma non puoi leggere. Porti con te la speranza di istruzione per i tuoi figli?"
R:"Voglio che le mie figlie abbiano competenze, io volevo finire la scuola, ma non potevo. Mi è dispiaciuto quando ho dovuto lasciare." E' forse troppo tardi per la figlia di 13 anni, forse le due figlie più giovani hanno ancora una possibilità. 

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